Nel silenzio che segue una vittoria, gli occhi di Jannik Sinner brillavano di una luce diversa. Non quella dell’orgoglio o della vanità, ma di una serenità profonda, quasi disarmante. Qualcosa stava per accadere, e nessuno poteva immaginarlo.

Gli organizzatori gli avevano appena consegnato il premio: una racchetta d’oro simbolica e un assegno da 6.000 dollari. Il pubblico applaudiva, i flash dei fotografi illuminavano il campo, e i commentatori si preparavano alla solita conferenza post-partita. Ma Sinner, come sempre, ha scelto un’altra strada.

Con un gesto calmo ma deciso, ha ringraziato, ha stretto la mano al direttore del torneo e si è seduto accanto al trofeo. Ha osservato la racchetta d’oro per un istante, poi ha posato lo sguardo sull’assegno. Un sorriso appena accennato ha attraversato il suo volto.

Dieci minuti dopo, quel sorriso si sarebbe trasformato in un momento destinato a restare nella memoria del tennis italiano. Davanti a un pubblico ancora in piedi, Jannik ha preso il microfono e ha detto parole semplici, ma cariche di significato:
“Questo premio non è solo mio. Appartiene al futuro del tennis italiano.”
Un mormorio di sorpresa ha attraversato gli spalti. Alcuni credevano che si trattasse di una frase simbolica, una di quelle che si dicono davanti alle telecamere. Ma Sinner non era tipo da parole vuote.
Ha continuato:
“La racchetta la terrò come ricordo. Ma i 6.000 dollari li dono alla Federazione per costruire una scuola di tennis. Voglio che ogni bambino in Italia, anche chi non ha nulla, possa sognare come me.”
Il pubblico è rimasto in silenzio. Poi, lentamente, si è levato un applauso. Un applauso lungo, commosso, sincero. Perché non era il gesto di un atleta che vuole apparire, ma quello di un uomo che non ha dimenticato da dove viene.
La notizia si è diffusa in pochi minuti. Le televisioni hanno rilanciato il video del momento, le reti sociali sono esplose di commenti. “Un campione vero”, scriveva qualcuno. “Questo è il tennis che amiamo”, aggiungeva un altro.
Molti giornali italiani hanno dedicato la prima pagina al gesto di Sinner. La Gazzetta dello Sport lo ha definito “Un campione con il cuore d’oro”. Corriere dello Sport ha titolato: “Sinner, il gesto che vale più di mille vittorie”.
Dietro la sua decisione, raccontano alcuni membri del suo team, c’era un pensiero maturato da tempo. Da anni, Jannik sostiene in silenzio diversi progetti per lo sport giovanile. “Non lo fa per farsi vedere,” ha spiegato un amico d’infanzia, “ma perché sa cosa significa non avere tutto.”
Nato a San Candido, in Alto Adige, Sinner è cresciuto in una famiglia semplice. I suoi genitori, lavoratori in un rifugio di montagna, gli hanno insegnato il valore della fatica e dell’umiltà. Forse è da lì che nasce la sua naturale distanza dalla vanità del successo.
Mentre altri campioni si perdono nei riflettori, lui continua a restare fedele a se stesso. Allenamenti, disciplina, poche parole. E quando parla, lo fa solo per dire qualcosa che conta.
L’iniziativa della scuola di tennis è già stata accolta con entusiasmo. Secondo le prime informazioni, sarà realizzata in collaborazione con la Federazione Italiana Tennis e Padel e porterà il nome “Progetto Azzurro Junior”. L’obiettivo: offrire formazione gratuita ai ragazzi con talento ma senza risorse economiche.
“È il modo migliore per restituire ciò che il tennis mi ha dato,” avrebbe confidato Sinner ai suoi collaboratori dopo la cerimonia. “Voglio che il prossimo campione italiano venga da lì.”
I messaggi di sostegno sono arrivati da ogni parte del mondo. Novak Djokovic ha commentato: “Un gesto straordinario. Il tennis ha bisogno di uomini così.” Anche Roger Federer, sempre discreto, ha messo un like al video dell’episodio, un segno silenzioso di approvazione.
In un’epoca in cui lo sport è spesso associato al denaro e alla fama, il gesto di Jannik Sinner ha ricordato a tutti che l’essenza del gioco è un’altra: la passione, la generosità, la memoria del proprio cammino.
Mentre lasciava il campo, qualcuno gli ha chiesto: “Perché lo hai fatto, Jannik?”
Lui si è voltato, ha sorriso e ha risposto piano:
“Perché non si vince mai da soli.”
E in quell’istante, l’intero stadio ha capito. Non era una lezione di tennis. Era una lezione di vita. 🌙🎾
