Un gesto che ha toccato il cuore di milioni di persone. Adriano Panatta, il campione che nel 1976 fece sognare l’Italia conquistando il Roland Garros, è tornato a far parlare di sé, ma questa volta non per un trionfo sportivo. In silenzio, lontano dai riflettori, ha deciso di mettere all’asta la racchetta con cui aveva scritto una delle pagine più gloriose della storia del tennis italiano.

L’annuncio è arrivato senza clamore, attraverso una breve dichiarazione che molti inizialmente non hanno nemmeno notato. Nessuna conferenza stampa, nessuna sponsorizzazione: solo un gesto, semplice e sincero, che in poche ore ha fatto il giro del mondo. Perché dietro quell’asta non c’era vanità, ma un profondo atto d’amore.
Panatta, oggi settantenne, ha scelto di destinare interamente il ricavato alla costruzione di un centro sportivo per bambini non udenti nella periferia di Roma. Un progetto che lui stesso ha descritto come “la mia vittoria più grande”, un modo per restituire qualcosa alla vita e allo sport che gli hanno dato tutto.
La racchetta, un modello in legno Dunlop Maxply, è diventata nel tempo un simbolo quasi sacro per gli appassionati. Con quella Panatta sconfisse Björn Borg, mise in ginocchio gli avversari più forti e scrisse il suo nome tra i giganti del tennis mondiale. Vederla ora passare di mano per una causa così nobile ha commosso anche i più scettici.

“Non è mai stato facile separarmene”, ha confessato in un’intervista esclusiva. “Ma sentivo che era arrivato il momento di dare a questo oggetto un nuovo significato. Se con quella racchetta ho fatto sognare gli italiani, ora voglio che serva a far sorridere dei bambini che non possono sentire le urla del pubblico, ma possono comunque sentire la gioia del gioco.”
Le sue parole hanno colpito nel profondo. In pochi giorni, l’asta ha superato ogni aspettativa: collezionisti da tutto il mondo hanno fatto offerte, non solo per possedere un pezzo di storia, ma per essere parte di un gesto umano, autentico. Il valore finale è stato sorprendente, ma per Panatta il numero non contava: “L’importante è ciò che nascerà da tutto questo.”
E ciò che nascerà sarà un piccolo paradiso per decine di bambini. Il progetto, sostenuto dalla Federazione Italiana Tennis e da diverse associazioni benefiche, prevede la costruzione di campi accessibili, spazi per la riabilitazione e corsi di avviamento sportivo con istruttori specializzati nel linguaggio dei segni. Un sogno che presto diventerà realtà.
Ma la parte più toccante di questa storia è emersa solo dopo. Durante un’intervista televisiva, Panatta ha rivelato che dietro la sua decisione c’è una promessa fatta molti anni fa a un bambino conosciuto in un ospedale pediatrico. Il piccolo, non udente, gli aveva detto: “Vorrei solo vedere un campo dove possiamo giocare anche noi.” Quelle parole, racconta Panatta, non l’hanno mai lasciato.

Per più di quarant’anni, quella frase è rimasta nel suo cuore, un ricordo silenzioso che oggi ha trovato finalmente la sua risposta. “Avevo promesso che un giorno lo avrei fatto,” ha detto con un sorriso velato di malinconia. “Ci è voluto del tempo, ma le promesse fatte ai bambini non si dimenticano.”
Il mondo del tennis, spesso abituato a scandali e polemiche, si è fermato per applaudire questo gesto. Giocatori di ogni generazione, da Federer a Sinner, hanno espresso la loro ammirazione per l’ex campione italiano. “Panatta ci ha ricordato cosa significa davvero essere un campione,” ha scritto Novak Djokovic sui social. “Non è solo vincere, è saper donare.”
Oggi quella racchetta non è più un trofeo, ma un simbolo di speranza. In un’epoca dominata dal rumore, Adriano Panatta ha scelto il silenzio per parlare più forte di chiunque altro. Un silenzio che costruisce, che unisce, che commuove. E forse, proprio in quel silenzio, si nasconde il suono più bello che il tennis abbia mai conosciuto.
